Kurt Cobain – La tragica notte di Roma

GLI ANNI DEL GRUNGE – ITALIA 1989-1996, A CURA DI GIACOMO GRAZIANO: UN ESTRATTO

Il 4 marzo 1994 Kurt Cobain si trovava a Roma, in una suite all’Hotel Excelsior di via Veneto, per una vacanza italiana con la famiglia.

Ma quella vacanza non fu come l’aveva sognata. Anzi, tutto si trasformò in un brutto e spaventoso incubo.

Qualche giorno prima, il 22 febbraio, i Nirvana tennero un concerto al Palaghiaccio di Marino, poco distante da Roma. Già lì la gente notò un Kurt spento e insolito. Forse la solita droga che lo stava consumando, forse incomprensioni all’interno della band.

Nonostante uno stato mentale al limite, decise di concedersi qualche giorno di relax nella capitale italiana, sperando di recuperare il rapporto con moglie e figlia dopo i devastanti pettegolezzi della stampa. Ma le cose non andarono per il verso giusto e nella notte tra il 3 e 4 marzo si imbottì di champagne e Roipnol e finì in coma.

Fu trovato riverso sul pavimento da Courtney, con il sangue che colava dal naso e fu trasportato d’urgenza dapprima al Policlinico Umberto I, poi all’ospedale Angloamericano dove riprese conoscenza qualche ora più tardi.

Al suo capezzale anche Dave e Chris e numerosi giornalisti e fan. Forse un tentativo di un gesto estremo, forse un incidente, quello che sappiamo è che un mese dopo il gesto estremo lo compie davvero e questa volta purtroppo ci riesce. In mezzo, giorni disperati tra tentativi dubbiosi di riabilitazione e fughe verso una libertà irraggiungibile.

Quel ricovero rimase nel cuore degli italiani che stentarono a riconoscere in quel corpo quasi esanime una famosa rockstar che infiammava milioni di fan.

In quel momento era solo il ragazzo fragile che cercava di chiedere aiuto a modo suo.

«È arrivato un ragazzo, un americano, un certo Kurt Cobain, in gravissime condizioni».

Le prime ore trascorrono tranquille. Bene, non chiedo altro. Non faccio in tempo a terminare questo pensiero, che vengo chiamata d’urgenza. È arrivato un ragazzo, un americano, un certo Kurt Cobain, in gravissime condizioni. In stato di coma, forse un tentativo di suicidio, ha ingerito un mix di champagne e Roipnol, un potente sonnifero con effetti ipnotici, ansiolitici e sedativi. Se assunto di frequente, può dare una pericolosa dipendenza; in dosi massicce, insieme all’alcol, può portare alla morte.
I miei colleghi, concitati, non fanno altro che parlare di quanto sia famoso e importante il paziente. Io in quel momento penso soltanto a salvargli la vita. In questo posto sterile e freddo, per me le persone sono tutte uguali, sofferenti, impaurite, in cerca di sollievo e conforto. E poi, famoso o no, io non so chi sia.
Non c’è tempo da perdere, devo correre attraverso i corridoi e raggiungerlo: è pallido e con un sanguinamento importante dal naso.
I miei colleghi monitorano i parametri vitali e io eseguo una radiografia toracica per capire lo stato degli organi interni. Bisogna svuotare il contenuto dello stomaco e rimuovere il veleno. Lo prepariamo per una lavanda gastrica e, successivamente, non ci resta che aspettare il suo risveglio dal coma. Ci preoccupano eventuali danni cerebrali sopravvenuti.

La situazione è grave ma stabile.

Ho un attimo per respirare e alcuni colleghi mi spiegano che quel ragazzo biondo, così magro e fragile, è una famosa rockstar americana che tiene il mondo ai suoi piedi. Io fatico quasi a crederci, perché a vederlo su quel lettino, inerme e attaccato al respiratore, mi comunica un gran senso di solitudine e vulnerabilità. Nel mio immaginario le rockstar sono altro. Certo, vivono di eccessi e contrasti, attraversano con la stessa intensità grandi successi e grandi tragedie, ma sono pur sempre come degli dèi. Forti, irraggiungibili, patinati. Quelli della mia generazione sono stelle che amano la bella vita e camuffano i dissidi interiori. Io, poi, non ascolto nemmeno quel tipo di musica. Questo Kurt è un ragazzo normale, deve aver sofferto molto nella sua seppur breve vita, ma quella rabbia e quella inquietudine te la sbatte in faccia in tutti i modi possibili.
Le percepisco perché mi investono mentre sono lì a guardarlo, in attesa che apra gli occhi.
Sì, adesso che ci penso, ho sentito parlare di questa band, Nirvana; di questo nuovo “genere” musicale che ha conquistato i giovani degli anni Novanta, il grunge. Sembrano voler rivendicare un loro posto nel mondo, senza artifici e costruzioni, fedeli al loro essere, a volte sgangherato o volutamente sgarbato. Ma dietro riconosco che c’è molto, molto di più.

Vengo destata da questi pensieri da inconsueti schiamazzi.

Mi giro e vedo arrivare una giovane donna, bionda e furiosa. Ne intravedo la bellezza attraverso il trucco colato e la faccia sconvolta. Piange, urla. Mi dice di essere la moglie e di non voler più aspettare. Deve vedere in che condizioni si trova il marito.
Le concedo due minuti, a patto che spenga la sigaretta. Ma lei mi manda al diavolo e corre verso il lettino. Quasi non riesco a credere alla sua sfrontatezza ed è una cosa che mi lego al dito. Lascio la stanza turbata e triste per quel giovane che mi dicono essere in Italia per una vacanza insieme anche alla figlioletta di pochi anni. Mi chiedo cosa spinga un ragazzo di ventisette anni a ingerire ben cinquanta pillole di un micidiale medicinale durante un soggiorno in una delle città più magiche del mondo. Di magico nella sua vita deve esserci ben poco. E non c’è nulla che possa fargli cambiare prospettiva: non un talento favoloso e raro, una bella moglie, una figlia fantastica, una carriera folgorante e fan che farebbero di tutto per te.
Niente, non esiste un’equivalente della lavanda gastrica per l’anima. Non c’è. Mi rendo conto dei limiti del mio mestiere. Io curo il corpo, strappo alla morte migliaia di vite, mi assicuro che tutti gli organi funzionino, ma non posso fare nulla per riparare gli ingranaggi della psiche. Mi affaccio alla finestra del mio studio, ho bisogno di respirare, ormai il sole è alto. È il 4 marzo. Per il resto della città è ricominciata un’altra giornata. Per me, invece, è finito un turno di lavoro che non dimenticherò mai.

Gli anni del Grunge
Italia 1989-1996

a cura di Giacomo Graziano
PubMe – Gli scrittori della porta accanto
Racconti | Interviste
ISBN 979-1254582909

Smell of Grunge

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